Ascanio Celestini e la poesia inconsumabile di Pasolini
Per ricordare la figura di Pier Paolo Pasolini, di cui quest’anno ricorre il centenario della nascita, Ascanio Celestini presenta “Museo Pasolini” andato in scena il 13 maggio scorso presso la scuola Gallo, organizzato dal Comune di Noci in collaborazione con il Teatro Pubblico Pugliese. L’auditorium scolastico “C. Abbado” accoglie Ascanio Celestini gremito in ogni ordine di posto e subito avviene la prima magia del teatro. Gli spettatori diventano a loro volta ospiti del Museo Pasolini di cui Celestini è custode e guida, ed ossessionato dalla “cronologia”, ripercorre la biografia di Pasolini attraverso aneddoti veri e storie inventate, non chiamandolo mai per nome (come se si trattasse di lui ma anche di altri) ma solo “Poeta”.
Al centro di una scenografia scarna, due lampioni, una porta che non verrà mai aperta, ed una sedia, avvia un percorso storico parallelo, data la concomitanza di date, in cui gli anni ed il tempo vengono scanditi secondo il calendario fascista: “Il poeta – dice il protagonista – nasce nell’anno zero dell’epoca fascista,… morirà nell’anno 53 dell’epoca fascista”. Si inizia dunque con l’infanzia di Pasolini e gli anni trascorsi in Friuli dove, durante la Seconda Guerra Mondiale, verrà ucciso suo fratello Guido Alberto detto “Ermes”. L’inizio della carriera da docente e la cacciata dal Partito Comunista che lo porterà a trasferirsi a Roma. Anche qui farà l’insegnante, ma in una scuola dimenticata da Dio a Fiumicino, fuori Roma. Tutti i giorni in autobus percorre una strada che lo porta ad attraversare la periferia e le baraccopoli. Quel breve tragitto quotidiano gli farà conoscere gli ultimi e forse la comunità più genuina.
In un’escalation di eventi tra realtà storica e finzione narrativa si scopre uno spaccato d’Italia del secondo ‘900 che forse gli Italiani stessi faticano a capire. L’anticomunismo, gli attentati, la guerra fredda. Dal secondo dopoguerra al 1975, anno fatidico per le sorti umane del Poeta. Un omicidio che va al di là del gesto efferato. Quando un poliziotto presente sulla scena del crimine afferma “uno come lui me lo immaginavo con le mutandine di seta” (ed invece indossava una biancheria normalissima) si svela un’Italia bigotta, ancorata a degli stereotipi che ancor’oggi stentano ad essere estirpati.
È il segno tangibile di quanto la visione sociale di Pasolini fosse proiettata molto più avanti, forse ancora più avanti dei giorni nostri. Tra l’altro lo stesso Pasolini, ad una ipotetica offerta di lavoro, risponde che non cambierebbe la sua poesia per nulla al mondo. Perché la poesia è inconsumabile. Ecco dunque i cinque reperti immateriali e inconsumabili che Celestini fa conoscere ai visitatori del museo: il primo è la poesia che Pasolini scrisse a sette anni, nel 1929, usando le parole “rosignolo” e “verzura”; il secondo è dedicato al cimitero di Casarsa dove è stato sepolto accanto alla madre e al fratello; il terzo è una pagina sull’invasione sovietica in Ungheria (l’innocenza del comunismo italiano piegata, stirata, messa nel cassetto); il quarto è sulla strage di piazza Fontana; infine, quinto ed ultimo, il suo corpo ucciso e martoriato.